Premi per chi si cura: all’estero funziona, ma in Italia?
Da Redazione
Aprile 12, 2018
Si sa che nessuno vorrebbe abere i medici tra i piedi, in primis per la salute e poi perché spesso e volentieri ci si ritrova a dover affrontare dei costi davvero alti. Questo accade in particolare per tutte quelle persone affette da patologie croniche e destinate come tali a essere curati per anni. Ma se ci fossero dei premi per chi si cura?
Un’iniziativa del genere potrebbe poco alla volta porsi come obiettivo quello di migliorare la salute pubblica, partendo proprio da chi ha meno risorse proprie a cui attingere.
Premi per chi si cura: incentivi alla salute
L’incentivo alla salute tramite un bonus di una piccola somma di denaro è una realtà già nota in diversi Paesi dell’America Latina, ma che in un futuro prossimo potrebbe arrivare in Italia, almeno questo è il messaggio che lancia «Lifepath», un progetto di ricerca (appoggiato dalla Commissione Europea) che mira a determinare un aumento della cura della persona.
E infatti in un articolo scientifico, gli scienziati europei hanno voluto mettere in evidenza come un piccolo contributo economico, vincolato a un impegno di tipo sociosanitario, possa fare bene alla salute anche della classe meno abbiente.
In cambio della somma ricevuta, la famiglia deve garantire, per sé e per i propri familiari: la frequenza scolastica, l’uso dei servizi sanitari a scopo preventivo (vaccinazioni), l’impegno professionale da parte degli adulti.
Premi per chi si cura, come svolgere l’iniziativa
Il miglioramento più grande si è avuto nell’accesso alle cure odontoiatriche (con almeno due visite all’anno), che di solito sono la prima rinuncia da parte delle famiglie meno ricche:
Dunque delle iniziative di incentivo a chi si cura e ci tiene alla salute sono già previste in molti paesi, sopratutto in America Latina e nel sud-est asiatico, grazie all’aiuto della Banca Mondiale e di altre istituzioni finanziarie internazionali.
Stando a Paolo Vineis, direttore del dipartimento di epidemiologia ambientale all’Imperial College di Londra, «questo studio conferma l’efficacia di un simile intervento, che a questo punto meriterebbe di essere testato anche in Europa».
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